La paura fa parte di noi tutti, ha una sua funzione adattiva.
Senza paura i nostri antenati non avrebbero escogitato le strategie per sopravvivere al mondo crudo e brutale nel quale vivevano.
Oggi il conflitto russo-ucraino, così vicino alle nostre case rispetto a guerre esotiche che pur si combattono quotidianamente senza alcuna risonanza mediatica, ci fa realizzare che il mondo continua ad essere crudo e brutale.
La paura della guerra ci tocca così intimamente perché temiamo per la nostra incolumità fisica, ci stringe attorno al nostro primordiale e innato (ma non scontato) istinto di autoconservazione.
L’orrore ulteriore è rappresentato dal senso di impotenza con cui realisticamente dobbiamo condurre le nostre vite.
Personalmente, la paura più grande è il “non avere paura”, inteso come la rimozione delle tragedie che stiamo vivendo, con il rischio che si tramutino in indifferenza, quindi rassegnazione e accettazione dei risvolti più violenti dell’animo umano. Questo può valere per i nostri malesseri personali, che se non li riconosciamo della loro dignità e funzione adattiva (i malesseri rappresentano spesso delle spie di pericoli più ingenti ed esistono per segnalarci una necessità di intervento), cadono in quel vortice illusorio di indifferenza; infatti, essi non spariranno da soli (anche se non è sempre così, a dire il vero), se non compiamo delle azioni consequenziali atti ad affrontare un problema.